Alfa e acqua pubblica: occasione perduta o situazione voluta?

acqua-567331-610x431Non si comprende perché a volte ci si ritrovi sempre al punto di partenza.

Che l’acqua sia un bene pubblico e che debba rimanere tale non solo è un concetto che dovrebbe stare nell’alveo naturale delle cose ma è un principio sancito da un referendum svoltosi nel 2011 attraverso il quale gli italiani si sono chiaramente espress. Sebbene in questi tempi si parli di riforme costituzionali nessuno (per ora…) osa mettere in dubbio che “la sovranità appartiene al popolo”.

Come poi questi principi vengano declinati dalla politica è tutt’altra faccenda non solo a livello nazionale ma anche locale.

L’esempio di Alfa srl è emblematico.

Nata in pompa magna, la società a capitale interamente pubblico avrebbe inizialmente gestito l’acqua in venti comuni servendo un terzo dei cittadini provinciali per poi arrivare a coprire tutti il territorio d’ambito. E’ invece stata “annullata” da un tribunale amministrativo che ne ha fatto emergere i gravi limiti di impostazione.

“Quella di oggi è una data storica” disse a suo tempo il presidente della Provincia Gunnar Vincenzi, mentre il consigliere provinciale Valerio Mariani, che ha seguito passo dopo passo l’iter di costituzione della società, che “Il lavoro fatto è stato complesso e faticoso, ma oggi possiamo dirci soddisfatti e orgogliosi del risultato” così come soddisfatto del traguardo raggiunto si è dichiarato anche Pietro Zappamiglio , Presidente di Ato, il quale si è vantato di essere riuscito ad “ad allineare tutti gli atti necessari per dare vita ad Alfa e renderla concretamente operativa a tutti gli effetti”.

Ebbene, ed ora dove sono finiti i vanagloriosi politicanti? Perché non difendono i loro errori pubblicamente e con la stessa forza dei loro annunci?

La principale motivazione addotta dal TAR lascia così di stucco da far pensare che si tratti di un gioco voluto (e senza apparenti responsabilità) finalizzato a far finire l’acqua della nostra provincia in pancia a qualche importante spa.

Infatti, per poter giustificare la gestione di un’attività attraverso lo strumento di una società pubblica, “in house”, la stessa avrebbe dovuto essere motivata con quadri economici e proiezioni che ne facessero comprendere gli “obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio” così come prevede la norma e così, aggiungiamo noi, come avrebbe dovuto fare qualunque imprenditore non completamente sprovveduto. Sarebbe bastato seguire le linee guida.

Quindi solo incompetenza?

O il pressapochismo e la forzatura della legge erano finalizzate alla creazione di un nuovo centro di potere (e di voti) oppure il naufragio è stato pilotato per consegnare il tutto in mano a terzi.

Infatti dalla lettura della sentenza TAR emergono una serie di errori di istruttoria e motivazionali gravissimi che degli amministratori seri avrebbero invece dovuto e saputo verificare.

Il TAR evidenzia che “la scelta del modello di gestione in house sarebbe stata effettuata in assenza di un’approfondita analisi di economicità ed efficienza, e senza alcun confronto con le altre possibili modalità gestionali previste dall’ordinamento (affidamento a terzi o a società mista, previa gara) poiché per i servizi pubblici locali di rilevanza economica, al fine di assicurare il rispetto della disciplina europea, la parità tra gli operatori, l’economicità della gestione e di garantire adeguata informazione alla collettività di riferimento, l’affidamento del servizio è effettuato sulla base di apposita relazione, che dà conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti.

Dall’ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e che definisce i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale, indicando le compensazioni economiche se previste”.

Inoltre “nella menzionata relazione, gli enti di governo danno conto della sussistenza dei requisiti previsti dall’ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e ne motivano le ragioni con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio”.

Non solo, ma l’istituto di revisione incaricato dell’asseverazione ha dichiarato, come si legge in sentenza, di essersi basato per lo svolgimento del lavoro su ipotesi, dati e documentazione forniti senza previa verifica di congruità e che conseguentemente non si sarebbe assunto alcuna responsabilità circa la veridicità, adeguatezza e correttezza delle ipotesi e dei dati suddetti e dei documenti presentati al riguardo ribaltando ogni responsabilità all’ente committente.

Ora ci sarà da correre ai ripari.

Non si comprende però chi sarà chiamato a risarcire il danno patito dai cittadini la cui unica responsabilità è stata quella di aver mal delegato la loro fiducia.

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